Dovere di vigilanza e privacy del minore

"La legge impone ai genitori il controllo dei figli ma poi è sempre la legge a dire che i figli hanno diritto alla protezione della loro “privacy”: quindi, riassumendo, i figli si devono ma non si possono controllare ?"

Papà contro Perry Mason

Nel corso di un incontro tenuto in una primaria, l’affermazione di un bambino mi ha sorpreso particolarmente. Mentre parlavo dell’uso dei cellulari, il fanciullo mi ha chiesto se suo padre potesse controllargli il telefono, aggiungendo che questo violava la sua privacy.

Se anche i bambini ne parlano, è giunto il momento di chiarire alcuni concetti.

Il papà del bambino, nel controllargli il telefono, ha voluto adempiere ai suoi obblighi e, in particolare, a quelli di educazione e vigilanza.

Il genitore, anche senza saperlo, ha applicato quanto previsto dall’art.147 c.c. che lo obbliga a mantenere, istruire, educare e assistere moralmente suo figlio, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni.

Forse il padre ha agito con estrema coscienza senza neppure conoscere le tante sentenze che condannano i genitori al pagamento di importanti cifre per i danni causati dai figli.

Una di queste è la sentenza della Corte di Cassazione n.24475 del 18.11.2014 che ha confermato il pagamento di oltre 35.000 euro per i danni subiti da un ragazzo, il quale aveva subito la perdita quasi totale della capacità visiva dell’occhio destro.

Interessante è la motivazione che viene in parte riportata: “Va ribadito il principio (Cass., n. 20322 del 20/10/2005) secondo cui in relazione all’interpretazione della disciplina prevista nell’art. 2048 cod. civ., è necessario che i genitori, al fine di fornire una sufficiente prova liberatoria per superare la presunzione di colpa dalla suddetta norma desumibile, offrano non la prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire il fatto (atteso che si tratta di prova negativa), ma quella positiva di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata; il tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere e all’indole del minore. L’inadeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore, fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecito dal suddetto commesso, può essere desunta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell’art. 147 cod. civ.”

La Corte di Cassazione si è concentrata sulle conseguenze civili della condotta del minore, ed applicando l’art. 2048 c.c., ha condannato i genitori del responsabile al risarcimento perché, pur essendo il minore capace d’intendere e di volere, gli mancava la capacità di agire. Il genitore è stato quindi ritenuto responsabile per non aver adeguatamente sorvegliato il figlio minore (colpa in vigilando) e per non averlo ben educato (colpa in educando). È giusto ricordare che tra la colpa in vigilando e quella in educando vi è una relazione inversamente proporzionale, ovvero, tanto maggiore sarà l’educazione impartita e quindi il grado di maturità raggiunto, tanto minore sarà l’obbligo di vigilare, e viceversa.

Per capire se il minore sia stato adeguatamente educato, il giudice può ammettere anche la prova per presunzioni, ovvero potrebbe essere sufficiente la gravità del fatto commesso per far presumere che vi sia stata una non adeguata educazione.

Come risolvere il conflitto di interessi?

Appare evidente che nel caso del controllo del cellulare da parte del genitore vi sia uno scontro tra “Il diritto alla segretezza e alla tutela della vita privata del minore” e il “diritto/dovere di vigilanza dei genitori”. È giusto ricordare che qualora vi siano più interessi confliggenti e di pari livello, occorre realizzare un contemperamento tra gli stessi per individuare quello prevalente.

Sempre la Cassazione con la sentenza n. 41192 del 3 ottobre 2014 è intervenuta in merito applicando proprio il principio appena menzionato, affermando che “il diritto/dovere di vigilare sulle comunicazioni del minore da parte del genitore non giustifica indiscriminatamente qualsiasi altrimenti illecita intrusione nella sfera di riservatezza del primo (espressamente riconosciutagli dall’art. 16 della Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dallo Stato italiano con la legge 27 maggio 1991, n. 176), ma solo quelle interferenze che siano determinate da un'effettiva necessità, da valutare secondo le concrete circostanze del caso e comunque nell’ottica della tutela dell’interesse preminente del minore e non già di quello del genitore“.

Come si dice: “Pari e patta, palla al centro”.

In realtà non è proprio così, pur nel rispetto di quanto prospettato dal giovane “Perry Mason”, soprattutto in questo momento, è assolutamente necessario controllare quello che fanno i nostri figli in rete.

Ciò che bisogna instaurare sin dall’inizio è un dialogo, bisogna far capire al bambino le potenzialità e le pericolosità di certi mezzi, è necessario far comprendere che ci sono regole e limiti.

Tra l’altro, le poche sentenze che trattano casi di violazione della privacy del minore, nascono in genere da conflitti tra genitori separati e il controllo sul figlio esercitato da uno dei due genitori serve in realtà non a verificare il comportamento del bambino ma dal cercare di acquisire più informazioni possibili sul conto del proprio ex.

Esistono tanti modi per controllare i propri figli e saranno oggetto dei prossimi approfondimenti.